In breve, per un contributo ragionato
Bruno Corà
(Presidente Fondazione Alberto Burri, critico e curatore)
C’è già chi si fa carico, in questa stessa occasione, di tracciare un percorso critico e un esame delle opere di Giovanni Termini, che ho avuto l’opportunità di veder crescere nel lavoro e negli sviluppi sin dalle prime originali intuizioni. Non mi soffermerò pertanto a riflettere su specifici momenti della sua ricerca, ancorché, ripeto, siano stati frequenti e numerosi gli episodi di collaborazione tra noi, fino alle recenti stazioni di “Au Rendez-vous des Amis” (2016) e “Rilevamenti” (2017), nei quali egli ha fornito aspetti salienti della sua opera. Piuttosto, mi interessa porre in chiaro, non dico le basi di un’ermeneutica personale rivolta a rivelare maggiormente, in primis a me stesso, il valore della sua azione estetica, quanto i ‘fondamenti’ poetici e le ‘fondazioni’ di esperienza linguistica da cui sembrano trarre movimento numerosi suoi ‘cantieri’.
Pur trovando plausibile la richiamata genealogia ai modi del ‘costruttivismo’ sovietico per il fervore verso i materiali extra-artistici di Maestri come Tatlin o El Lissitski o Puni e altri, non si possono tuttavia trascurare o sottacere le esperienze materiche dei futuristi nostrani e ancor meno le prime esperienze ‘assemblative’ di Picasso (quelle del 1913), che certamente precedono quelle dello stesso Tatlin. Peraltro è dall’audacia e dall’illuminata sperimentazione plastica di Boccioni – intendo soprattutto per le ‘aperture’ compiute con opere come Fusione di una testa e di una finestra, polimaterico (1911-1912) – che la koinè costruttivista si è sicuramente sentita autorizzata nella propria avventura artistica e sociale. La libertà e l’azzardo con cui oggi Termini usa tubi da impalcature cantieristiche, ferri zincati e fasce in nylon da sollevamento e trasporto, o le tavole in MDF o in formica, si devono a illustri parentele con quegli antenati e a sensibilità che ne hanno sviluppato le premesse storiche. Effettivamente, l’attitudine assemblativa – che in Europa, dopo gli esempi già citati, annovera geniali assertori come Schwitters, Hoch e numerosi altri protagonisti dada, fino al Colla di Origine e, in USA, alla Nevelson e al Rauschenberg dei combine paintings – appare distintamente trasferirsi come un lessico imprescindibile sia ad alcuni esponenti della process art e di Fluxus, sia ad artisti come Mattiacci, Merz, Sonnier, Kounellis, Zorio. Questi ultimi, molto diversi tra loro, recano in comune – e non sono i soli – il modo assemblativo che tra una materia e l’altra considera possibile lasciare ‘vuoti’ per una plasticità ‘non sintetica’ ma associativa di frammenti, di ‘parti’, tipica degli “insiemi”.
Termini ha ricavato da alcuni di loro quanto necessario per formare la sua impalcatura semiotica, non senza avervi aggiunto una considerevole componente allusiva, decostruttiva e metaforica, distintiva di una generazione che nell’atto di appropriazione e contaminazione non ha rinunciato a esercitare le proprie integrazioni di complessità che l’insieme dei sistemi significativi ha richiesto.
Se osservando il lavoro di Termini appare lecito considerare tra le sue dotazioni ereditarie, dopo quelle dei modi assemblativi e ancor più di quelli ‘costruttivi’, i concetti e i modi dell’azione di artisti come Uncini o dello stesso Pardi, per la loro separata via all’idea di ‘costruzione’ e perfino di ‘architettura’, non trascurerei tuttavia ciò che, in termini di apertura, indeterminazione e assenza di certezze nella messa a punto della forma o, se si vuole, della sua decostruzione, hanno contribuito a diffondere le opere e i procedimenti di artisti come Gordon Matta Clark, Vittorio Messina e Pedro Cabrita Reis.
L’azione disinibita e acuta di Termini a me pare ‘fondata’, non senza lievità poetica, proprio per le scelte da lui compiute nei confronti dell’immaginario di taluni Maestri da lui individuati precocemente e di cui ha metabolizzato, con piena autonomia, principi, regole e concezioni di spazio-temporalità, affrancandosene ormai del tutto con una proposta individuale, originale e sopratutto credibile. Alla luce del lavoro sin qui da lui compiuto, sarà dunque da questi capisaldi che si tornerà a leggere motivazioni e proiezioni future.
Febbraio 2016