Precronistoria
Simone Ciglia
Nel 1976 il critico Germano Celant dà alle stampe per i tipi del Centro Di di Firenze Precronistoria, 1966-69. Il testo raccoglie in ordine cronologico una serie di documenti che informano sui complessi sviluppi artistici del quadriennio preso in considerazione, in cui s’incrociano minimal art, pittura sistemica, arte povera, land art, conceptual art, body art, arte ambientale e nuovi media. In questo modo Celant ripercorre la strada già tracciata quattro anni prima dalla collega americana Lucy Lippard, la quale aveva usato il medesimo criterio per ordinare i materiali che – nella porzione di tempo considerata (nel suo caso 1966-1972) – descrivevano l’idea della smaterializzazione dell’oggetto artistico. Con la sua (apparente) neutralità, la cronologia rimane un canone ancora praticato per la lettura dei fatti artistici. Ne è testimonianza recente l’opera congiunta di Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois e Benjamin Buchloh, che organizza la narrazione del XX secolo «come una successione di importanti eventi», scandendoli anno per anno.
Il metodo cronologico funge da paradigma anche di questo testo, applicato tuttavia al caso di un singolo artista. Questa nuova precronistoria è dedicata a Giovanni Termini, cercando di tracciare una possibile genealogia del suo lavoro: una fra le molte ipotizzabili, perché la messe di connessioni chiamate in causa può essere esplorata solo in minima parte in questa occasione. Questa cronistoria seleziona in particolare alcuni episodi della storia dell’arte e della filosofia del Novecento che riguardano uno degli aspetti fondanti della pratica di Termini: l’archetipo della scultura come costruzione e l’iconografia del cantiere.
1914
Nel 1914 Vladimir Evgrafovič Tatlin (Char´kov 1885 – Mosca 1953) realizza Selezione di materiali: ferro, stucco, vetro, asfalto. Si tratta di un rilievo rettangolare in cui sono assemblati i materiali elencati nel titolo: la superficie di stucco è attraversata al centro da un’asta di legno; su quest’ultima s’innesta centralmente un triangolo di ferro, orientato verso lo spazio dello spettatore, mentre le porzioni superiore e inferiore ospitano un frammento di vetro curvato e del metallo. A tutti questi materiali l’autore si attiene con quella che chiama «verità». Come rilevato in presa diretta dal critico russo Nicolaj Tarabukin, qui è il materiale a dettare le forme, e non il contrario.
Figlio di un ingegnere e di una poetessa, Tatlin è uno dei protagonisti dell’avanguardia russa del primo Novecento. Si arruola in marina, dove con ogni probabilità esercita anche l’attività di carpentiere navale. Dopo la fondamentale visita a Parigi nel 1914, in occasione della quale ha modo di vedere la scultura di Picasso, imprime una nuova direzione alla propria attività artistica.
Il termine russo faktura riassume la “cultura dei materiali” che caratterizza quel complesso orientamento dell’avanguardia russa di cui Tatlin è uno degli iniziatori: il costruttivismo propone fin dal suo nome un’idea di arte come costruzione. Alla tradizionale funzione rappresentativa, i costruttivisti oppongono una visione oggettiva della forma. A muoverli è soprattutto l’afflato rivoluzionario, teso all’edificazione di una nuova società.
Un secolo dopo, in un orizzonte storico completamente mutato, Termini eredita la concezione costruttiva dell’arte, conservando la verità tatliniana ai materiali. Con l’artista russo condivide anche il dato biografico dell’esperienza lavorativa in un cantiere navale: da questa pratica quotidiana con i materiali deriva l’attenzione alle loro proprietà strutturali.
1948
L’opera di Termini getta le basi nella storia della scultura, proseguendo una linea precisa che si dipana lungo il corso del Novecento, della scultura come costruzione. Già nel 1948 il critico americano Clement Greenberg individua tale orientamento nell’ambito di quella che chiama «nuova scultura»:
Qui lo spazio deve essere formato, diviso, racchiuso, ma non riempito. La nuova scultura tende ad abbandonare la pietra, il bronzo e la creta per materiali industriali quali il ferro, l’acciaio, le leghe, il vetro, la plastica, la celluloide, ecc. lavorati con gli attrezzi del fabbro, del saldatore, del carpentiere […] l’opera non è tanto scolpita quanto piuttosto costruita, edificata, assemblata, ordinata.
Greenberg registra in tal modo l’enorme ampliamento dei materiali e delle tecniche di lavorazione che segnano la vicenda della scultura nel XX secolo, fino ad approdare al «campo allargato» descritto da Rosalind Krauss.
Termini abbraccia i materiali, le lavorazioni e la concezione spaziale che animano l’idea della scultura come costruzione. Il suo lavoro sembra portare questo assunto alle estreme conseguenze, fondandosi su un’iconografia del cantiere.
1951
Attorno al costruire si è addensata la riflessione filosofica. Interrogato nell’immediato secondo dopoguerra sulla questione degli alloggi, Martin Heidegger risponde con il saggio Costruire Abitare Pensare. Il suo ragionamento prende le mosse dallo scavo etimologico del termine costruire:
Se tuttavia ascoltiamo ciò che il linguaggio ci dice della parola bauen, costruire, apprendiamo tre cose:
Costruire è propriamente abitare.
1 – L’abitare è il modo in cui i mortali sono sulla terra.
2 – Il costruire come abitare si dispiega nel «costruire» che coltiva, e coltiva ciò che cresce; e nel «costruire» che edifica costruzioni.
3 – Il costruire non si risolve in un’attività conchiusa ma chiama in causa altri termini. Il filosofo lo mette in relazione con l’«abitare» e il «pensare»:
L’essenza del costruire è il «far abitare». Il tratto essenziale del costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire.
Con la sua scultura-costruzione, Termini rappresenta un cantiere dell’abitare, dell’essere dell’uomo nel mondo.
1957-1958
Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929-Trevi, 2008) inizia a lavorare ai Cementarmati, una serie che segna il punto di svolta della sua produzione. Si tratta di tavole di cemento grezzo sostenute da un’armatura di rete e ferri. L’artista deduce questi materiali dalla realtà che lo circonda, dal fervore costruttivo che anima l’Italia del secondo dopoguerra. Il cemento armato – nota Enrico Crispolti – è «simbolo stesso della potenza costruttiva dell’uomo contemporaneo». Seguono dopo qualche anno i Ferrocementi (1962-65), in cui l’accento si sposta sull’elemento del tondino di ferro, assunto a principio determinante della forma. Altri materiali provenienti dall’edilizia entrano successivamente nel lavoro di Uncini a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta: i mattoni, cui è dedicata una serie che si sviluppa dal 1969 al 1972.
A questo proposito, l’artista puntualizza nel 1972: «per me la scelta dei materiali costituisce già parte dell’idea: e i materiali (il ferro, il mattone, il cemento) m’impongono l’uso di certe tecniche rigorosamente proprie».
Una simile concezione dei materiali anima anche il lavoro di Termini, per il quale essi rappresentano «il tramite o la sovrastruttura per arrivare alla forma finale», che non lo interessa «quanto il lavoro intrapreso per raggiungerla». Nell’elenco dei materiali impiegati compaiono, a titolo di esempio: pannelli da cantiere che delimitano le pareti della galleria (nella mostra Pregressa, 2016); una tavola di legno dipinta di giallo ricoperta di cemento (Tentativo di ripresa, 2015); pannelli in cartongesso incorniciati (Necessità di una posizione ben precisa, 2014); reti in PVC (Zona limitata, 2010).
1965
Nel 1965, lo scultore minimalista Carl Andre rilascia al critico Barbara Rose la seguente dichiarazione:
Al posto di scolpire i materiali, io utilizzo i materiali come mezzi per scolpire lo spazio.
Il minimalismo capovolge alcune delle premesse su cui si era fino ad allora fondata la scultura. Presentando oggetti apparentemente muti – forme primarie, materiali industriali, configurazioni seriali – la scultura instaura una relazione con lo spazio in cui è collocata e con chi la guarda, investendolo nella sua dimensione fisica. L’attitudine seriale chiamata in causa dal minimalismo viene evocata da Termini in relazione al cantiere, che lo interessa per «i suoi gesti operativi seriali, i suoi materiali accatastati»; materiali industriali – come tubi al neon, laterizi, acciaio – che l’artista condivide con il movimento americano.
1968
Nel 1968 al Circo Massimo di Roma, Eliseo Mattiacci (Cagli, Pesaro, 1940) mette in scena la performance Lavori in corso, realizzata insieme ad alcuni allievi dell’Istituto d’arte di Roma. L’azione si compone di vari momenti: alcuni ombrelloni, disposti in cerchio, vengono fatti ruotare; a terra sono distesi grandi teli, mentre un rullo di carta catramata viene srotolato su cavalletti fra loro distanziati. La performance viene interrotta dalla polizia.
L’anno successivo, presso la Galleria L’Attico ancora a Roma, Mattiacci propone una nuova azione (Percorso): alla guida di un rullo compressore, l’artista entra nello spazio dell’ex garage spianando la terra e realizzando quello che definisce un «percorso agibile».
La qualità performativa interessa anche il lavoro di Termini: se l’artista ha fatto ricorso specifico al medium solo raramente, la sua scultura è solita conservare le tracce di una processualità che chiama in causa il fattore temporale.
1981
Rosalind Krauss pubblica Passages in Modern Sculpture. Nell’introduzione affronta la questione della tradizionale divisione estetica fra arti del tempo e arti dello spazio, richiamando la necessità di considerare la dimensione temporale nell’ambito della scultura:
Il principio che soggiace allo studio della scultura moderna che oggi propongo è che neppure in una forma d’arte spaziale si possono separare il tempo e lo spazio al solo fine dell’analisi. Ogni organizzazione spaziale contiene un’asserzione implicita sulla natura dell’esperienza temporale. La storia della scultura moderna rimane dunque incompleta finché non comporta un dibattito sulle conseguenze temporali di particolari composizioni formali.
1980s
Anthony Caro (New Melden, Inghilterra 1924-Londra 2013) conia il termine sculpitecture (scultarchitettura) per descrivere i propri lavori. A partire dagli anni Ottanta, uno dei principali nuclei di investigazione dell’artista inglese è costituito dalla relazione fra scultura e architettura. A legare le due discipline sono alcune qualità come volume, scala, spazio. Le opere di Caro richiedono il coinvolgimento fisico dello spettatore, invitato non soltanto a guardarle, ma a esplorarle con il proprio corpo.
2007
Il New Museum di New York inaugura la nuova sede con Unmonumental. The Object in the 21st Century. La mostra vuole fare ambiziosamente il punto sulla scultura contemporanea, presentando il lavoro di trenta artisti. Il panorama che emerge si pone sotto il segno della frammentarietà e della precarietà; uno statuto dichiaratamente anti-eroico che riflette un’epoca di crisi. Laura Hoptman fornisce una definizione del termine che riassume questa attitudine:
Se il termine “monumentale” implica massa, atemporalità e significato pubblico, il neologismo “un-monumental” (non-monumentale) intende descrivere un tipo di scultura che non è contraria a questi valori (come in “anti-monumentale”) ma ne è intenzionalmente priva. Ovviamente, lo stato frammentario, improvvisato o assemblato di queste nuove sculture fornisce un diverso stato di contingenza.
Sotto questa rubrica può essere compresa anche la scultura di Termini, che rifiuta la perentorietà anche quando affronta le grande dimensioni.
2013
A Pesaro, nell’ex chiesa del Suffragio, Giovanni Termini presenta Armatura, una grande installazione che riproduce un’armatura da cantiere. È la rappresentazione più icastica della sua concezione costruttiva della scultura. Affidata nella realizzazione ad addetti del settore, l’opera è un segno ancipite: per un verso il cantiere sembra ancora in corso d’opera, esprimendo un potenziale costruttivo; per un altro la fabbrica appare invece interrotta, forse memoria del contemporaneo arresto dell’edilizia determinato dalla crisi economica.
Rispondendo all’auspicio finale di Heidegger, l’opera di Termini insegna ad abitare.
Germano Celant, Precronistoria 1966-69, Centro Di, Firenze 1976.
Lucy Lippard, Six Years: The dematerialization of the art object from 1966 to 1972: a cross reference book of information on some esthetic boundaries…, Praeger, New York 1973.
Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois, Benjamin Buchloh, Prefazione: guida alla lettura, in Arte dal 1900. Modernismo, Antimodernismo, Postmodernismo, Zanichelli, Bologna 2006, p. 12.
Clement Greenberg, Art and Culture. Critical Essays, Beacon Press, Boston 1961 (trad. it. Arte e Cultura, Umberto Allemandi & C., Torino 1991, p. 145).
Rosalind Krauss, Sculpture in the Expanded Field, in “October”, Vol. 8. (Spring, 1979), pp. 30-44.
Martin Heidegger, Bauen Wohnen Denken, 1951 (trad. it. Costruire Abitare Pensare, in Saggi e Discorsi, ediz. ital. a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 98).
Ibid., p. 107.
Giuseppe Uncini, cit. in Giuseppe Uncini, catalogo della mostra Pardi, Spagnulo, Uncini, a cura di R. Sanesi, Palazzo Reale, Milano, 1972.
Giovanni Termini, cit. in Il Tempo, lo Spazio e il Vuoto (che non c’è), a cura di Alberto Zanchetta, in “Exibart onpaper”, n.73, Giugno 2011 p. 79.
Carl Andre, cit. in Barbara Rose, ABC Art, in “Art in America”, October-November 1965, p. 67.
Giovanni Termini, op. cit.
Rosalind Krauss, Passages in Modern Sculpture, MIT Press, 1981 (ed. it. Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land art, Bruno Mondadori, Milano 1998, p. 12).
Laura Hoptman, UNMONUMENTAL. Going to pieces in 21st Century, in Unmonumental. The Object in the 21st Century, Phaidon, London-New York 2007, p. 138.